Un panino da Incubo…

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E’ sempre dura compiere delle transizioni alimentari, spesso più impegnativi del solito, e allo stesso tempo obbligatorie, sopratutto quando si ha coscienza della necessita di un cambiamento etico, di una scelta amorevole nella propria vita. E qui ci sta il racconto di una di questa esperienze, ben raccontata e descritta dall’amico Dario Morandi, in un brano inserito nel libro Difendi il Pianeta a Tavola: …Testimonianze…;

“UN PANINO… DA INCUBO”
di Dario Morandi

Non saprei dire con certezza il motivo per cui successe proprio in quel momento e a quell’età – avrò avuto circa ventott’anni – ma se fossi invitato a scommettere qualcosa d’importante, direi che in realtà era cominciata molti anni prima.

Ricordo molto vagamente (sarebbe più corretto dire che ho dei flash) una circostanza in cui i miei genitori, pensando di farmi cosa gradita, portarono a casa dalla spesa, una confezione di biscotti a forma di animali. Presumo che l’intento degli ideatori di quei biscotti fosse quello di rallegrare e allietare la colazione di migliaia di giovani nuovi consumatori, ma forse già allora – ero molto piccolo – c’erano in me i semi del complottista che sarei diventato molti anni più avanti. Sta di fatto che alla vista di quei biscotti sagomati a guisa di animali da cortile quali cani, gatti, conigli, galline e mucche, anziché rallegrarmi divertito da questa insolita presentazione (solitamente anche allora i biscotti erano o quadrati o tondi), scoppiai in un pianto a dirotto.

È difficile, se non impossibile, ricordare i pensieri e i sentimenti di quando avevamo un’età inferiore ai dieci anni, ma io ricordo ancora molto chiaramente le emozioni di quel momento, di quelle diapositive conservate nella mia memoria, ed erano emozioni di angoscia. Nella mia testa, mordere quei biscotti equivaleva a infliggere dolore agli animali che la loro forma rappresentava.

Purtroppo però il sistema ha pensato a uno stratagemma molto furbo per aggirare questo ostacolo rappresentato da un possibile barlume di consapevolezza, e si chiama “dissonanza cognitiva”. Ed ecco quindi che se dei biscotti venivano proposti a forma di animale per divertire i bambini, i pezzi veri di animali venivano confezionati in forme e aspetti che con gli animali d’origine non avevano più nulla a che fare, come wurstel, hamburger, chicken nuggets e persino stelle, mezze lune e bastoncini. Oggi possiamo vedere l’effetto di quel condizionamento, osservando che praticamente nessuno delle persone che conosciamo, fa il collegamento tra l’animale e il pezzo di carne che comprano. Nessuno pensa che quel pezzo di animale un tempo era stato un animale vero… e per di più vivo. Nessuno si sognerebbe di macellare da sé un vitello, un agnello o un maiale se gli venisse richiesto, anzi, è stato provato in più di un’occasione che di fronte alla violenza esplicita verso gli animali, ogni essere umano sano di mente si oppone con forza. Poi però quegli stessi esseri umani acquistano la fettina di vitello ben presentata, ripulita di tutta la violenza e ben riposta nella sua confezione di polistirolo.

Ma in me ormai il semino della coscienza animalista era stato gettato e sarebbe germogliato diversi anni più avanti e le sue radici profonde avrebbero raggiunto con forza il mio subconscio sotto forma di sogno, anzi di incubo. Un incubo che ricordo perfettamente ancora oggi benché siano trascorsi più di vent’anni.

In una delle sue canzoni più famose, V. R. diceva che…

“…le canzoni son come i fiori. Nascon da sole, sono come i sogni. E a noi non resta che scriverle in fretta, perché poi svaniscono e non si ricordano più.”  Ma io ricordo ancora molto bene quell’urlo straziante.

Mi trovo all’interno di un supermercato che mi è familiare perché all’epoca era lì che il più delle volte andavo a fare la mia spesa e cammino a fianco dei negozi che si affacciano all’esterno delle casse del supermercato vero e proprio.

Dicono che non si dovrebbe mai fare la spesa quando si ha fame perché si rischia di riempire il carrello di ogni sorta di cibo-spazzatura e infatti io comincio a sentire i primi morsi dell’appetito; complice anche i profumi che provengono dalla rosticceria che vende polli allo spiedo e patatine fritte [vi ricordo che è un sogno, ma che è anche molto realistico come tutti i sogni molto vividi].

Decido quindi di concedermi un pranzo sfizioso presso la rosticceria, non ho voglia di fare la spesa con la fame e aspettare di svuotare tutti i sacchetti per poi mettermi a cucinare. Un buon panino mi sembra la soluzione migliore. Quindi mi dirigo verso il bancone di vetro della rosticceria e vedo che dietro il commesso, fa bella mostra di sé, lo spiedo di un maiale cotto nel forno a legna, appena preparato e con la cotenna scura. Oggi faccio molta fatica a credere che all’epoca per me quella situazione apparisse del tutto normale, ma come tutti ero stato ipnotizzato in modo così profondo da non riuscire più a vedere in quello spiedo di maiale un animale vero. Per me era solo un pezzo di carne di cui fare scempio per la mia gola. La cosa straordinaria è che quel maiale era intero e del tutto riconoscibile; c’erano il busto, le zampe e persino la testa. Non credo che avesse anche una mela in bocca come nell’iconografia più classica del maiale cotto alla hawaiana – almeno questo il mio subconscio me lo ha risparmiato – ma per il resto era un animale del tutto integro e non ancora affettato.

Quindi, indifferente a quella situazione disumana, ordino non curante il mio panino con la porchetta, le patatine e una birra; tutto quello che serve per dire addio alla salute nel giro di pochianni. Ciò che avvenne subito dopo, cambiò per sempre la mia vita.

Il commesso, sempre sorridente e cordiale, scrisse la mia ordinazione su un foglietto, dopodiché prese il panino scaldato sulla piastra, vi posò sopra le verdure gratinate e, agguantato un grosso coltello affilato, si girò verso lo spiedo con il mio panino nella mano sinistra, pronto a raccogliere le fette di maiale direttamente tagliate dal fianco dell’animale. Non posso dire in tutta onestà di ricordare il momento esatto in cui il commesso affondò il coltello nella carne del povero animale, ma ricordo con estrema precisione l’urlo straziante che emise.

Non appena il coltello affondò nel fianco, il maiale aprì improvvisamente gli occhi come se si trovasse lì per caso a schiacciare un pisolino. Il suo urlo di dolore lo ricordo ancora oggi molto bene, non solo per il suo carico di dolore e paura ma anche perché la sua richiesta d’aiuto era del tutto inverosimile: “Aiuto… vi prego aiutatemi, mi stanno facendo del male. Vi prego, aiutatemi.” Solo un macabro cartone animato o un incubo davvero insolito avrebbero potuto umanizzare un animale cotto allo spiedo con una richiesta d’aiuto simile. Ma oggi ritengo che fossi io a umanizzarmi dopo anni di cieca indifferenza.

Non ricordo come andò a finire, se scivolai verso ambientazioni meno traumatiche o se mi svegliai di soprassalto, ma quell’urlo straziante e quegli occhietti che si aprivano carichi di orrore non li scorderò mai. Da quel giorno stesso decisi che non avrei mai più toccato e ingerito un pezzo di carne. Ero diventato un vegetariano.

Ovviamente il cammino fu abbastanza lungo e non senza incidenti di percorso. Mi ci vollero ancora diversi anni per capire che la violenza dell’industria alimentare non si riduce solo all’uccisione degli animali stessi, ma anche e soprattutto alla produzione dei prodotti derivati che comportano non meno sofferenza e sfruttamento verso molte specie.

Un esempio su tutti; la mucca, come ogni altro mammifero, non fa il latte se non viene messa in stato perenne di gravidanza (pensavate anche voi che lo facesse così… senza ragione, vero?).

Insomma, sarebbero state ancora tante le cose che avrei imparato sullo sfruttamento degli animali da parte dell’industria alimentare. Ma non meno importanti sarebbero state le ripercussioni sulla mia salute. Ebbi modo di imparare che il termine vegano, non equivale automaticamente anche al termine salutista… o sano. Tecnicamente parlando, anche una dieta a base di patatine fritte e cola è vegana, ma dubito che qualcuno avrebbe il coraggio di definirla sana.

Oggi non credo che la mia alimentazione sia perfetta al 100%, cedo ancora di quando in quando a tentazioni più o meno salutari (tipo il cioccolato fondente al 70%), ma sto migliorando ed è certo che cercherò in ogni modo di arrecare minor danno possibile agli animali, a me stesso e all’ambiente.

Lo so, le sento già le voci dei soliti criticoni che mi dicono, “Ma quando vai in macchina non li schiacci i moscerini? D’estate non le ammazzi le zanzare?” Allora (ci vuole pazienza con costoro), a parte il fatto che io non ammazzo nemmeno le zanzare perché tanto non mi pungono, è chiaro che nella vita di tutti i giorni è impossibile vivere a impatto ZERO. Qualcuno forse pensa che la mucca, mentre bruca l’erba, si preoccupi di scansare qualche insetto se gli capita in bocca? Non si può essere vegani al 100%, ma il discorso qui non è pretendere la perfezione assoluta (che non esiste), ma molto più semplicemente vivere secondo principi di rispetto per quanto ci è possibile fare. Tanto più che di certe cose non abbiamo bisogno (a quest’ora sarei morto) e quindi tutto si riduce a una questione di scelte e coscienza personale.

Ciò detto, non credo che il mio percorso sia finito, so di avere ancora tante cose da imparare e tante abitudini ancora da migliorare. Sospetto che il non plus ultra dell’alimentazione sia il fruttarianesimo (cioè chi si nutre solo di frutta), ma non sempre è possibile e non sempre, a queste condizioni di vita e a queste latitudini, è sufficiente.

Certo è che l’alimentazione è una parte centrale della nostra vita, pensate quanto saremmo liberi da ogni ricatto e schiavitù se fossimo completamente sganciati (come per magia) dal bisogno primario del cibo… io ci ho scritto persino un libro (“La terza elica” Ed. Le Mezzelane)!

Alla fine si tratta solo di imparare ad ascoltare il nostro inconscio, che cerca sempre di parlarci sopra tutto quel rumore che abbiamo nella testa. Nel mio caso la mia coscienza ha deciso di usare un sogno per farsi sentire, forse perché mentre dormiamo è il momento in cui la mente sta più in silenzio.

Non è stato un bel sogno e quando ci penso, nonostante siano passati tanti anni, provo ancora quella stessa angoscia, ma sono felice di averlo fatto e di essere la persona che sono oggi. E se in qualche modo ti è stato d’ispirazione per prendere una decisione che ti cambierà la vita (in meglio), se era un racconto così, quello che ti serviva per fare quell’ultimo salto verso la felicità, sono grato di averlo ricordato su queste pagine e onorato per aver avuto l’occasione di raccontartelo.

Dario Morandi


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