Pubblico alcuni estratti che parlano di noi da un lavoro di ricerca e approfondimento di alcune studentesse molto interessante sul movimento “fruttariano” (in corsivo alcune aggiunte per specificare alcune posizioni della filosofia Fruttaliana) :
ATTRAVERSO IL MONDO DEI FRUTTARIANI
Una prospettiva sociologica su questa identità alimentare
ABSTRACT
Il presente elaborato prova ad esplorare gli orientamenti attuali del fruttarismo in Italia, adottando un approccio basato sull’ascolto dei diretti interessati e sulla ricerca di materiali, con l’obiettivo di mettere in evidenza la coesistenza di diverse forme di appartenenza sottoculturale all’interno della
subcultura fruttariana. In particolare, si identificano tre principali correnti di pensiero: i fruttariani che seguono Fruttalia, i fruttariani che condividono un forte attivismo politico e una terza corrente dove i partecipanti praticano il fruttarismo prevalentemente da soli o con alcuni cari. Mentre queste tre diverse varianti hanno lo stesso canone di concezioni sottoculturali in comune (empatia con la natura, educazione della prole, funzionamento del corpo umano, storia evolutiva), differiscono da punti di vista rilevanti tra cui le forme di linguaggio, la loro posizione politica, le norme da seguire e il rapporto coi membri del proprio gruppo. Contrariamente al luogo comune che tende ad appiattire le differenze interne a questo fenomeno subculturale, noi vogliamo mettere in evidenza come la partecipazione ai vari insiemi specifici, che fanno comunque riferimento allo stile di vita fruttariano, generi un’identità sociale a sua volta specifica e non riducibile ai caratteri generali del fruttarismo.
KEWORDS
fruttarismo, subcultura, regime alimentare, life-style.
INTRODUZIONE
Il “Fruttarismo” nasce in Francia nel 1920, successivamente si diffonde in Germania, Inghilterra e Italia (Armando D’Elia e Franco Libero Manco, Codice Vegan 2014); tuttavia per la ricerca sociale accademica si tratta ancora di un ambito poco esplorato.
L’homo sapiens é l’onnivoro per eccellenza: può nutrirsi indistintamente di mammiferi, uccelli, anfibi, pesci, molluschi, crostacei, insetti, funghi, uova, secrezioni animali – latte, miele, sangue – e piante (foglie, gambi, radici, parti riproduttive). Eppure, quando si parla di regimi alimentari, l’uomo si trova in un affascinate paradosso: “anche quando è disponibile un’ampia scelta di alimenti commestibili, ogni cultura definisce solo uno specifico sottoinsieme di questi elementi come “cibo” e quindi atto ad essere consumato dall’uomo” [Alan Beardsworth, Comprendere il vegetarianismo 2004]. Di fatto “possono essere scartati animali o piante perfettamente commestibili e allo stesso tempo essere accettati e apprezzati (…) ingredienti dal dubbio valore nutrizionale (…) Le diverse culture configurano gerarchie di desiderabilità e accettabilità degli alimenti spesso legate solo vagamente ad effettivi attributi gustativi o nutrizionali” [Alan Beardsworth, Comprendere il vegetarianismo 2004]. Proprio questi modelli rappresentano per i sociologi un’analisi interessante. Nel fruttarismo il modello di approvazione-rifiuto viene culturalmente definito all’interno del gruppo sociale e risulta legato alla questione della differenziazione e ai meccanismi che creano e sostengono l’identità individuale e collettiva.
Il fruttarismo è generalmente identificato come una pratica alimentare che prevede di consumare esclusivamente frutti, intesi biologicamente come la struttura risultante dalla fecondazione dell’ovario del fiore e atta al fornire ai semi nutrimento, protezione e diffusione. Per un fruttariano, è corretto nutrirsi solo di ciò che si stacca dalla pianta come frutto; si distingue tra frutta dolce e frutta ortaggio. L’etica ortodossa prevede il cibarsi unicamente dei frutti che cadono spontaneamente, tuttavia questo non è quasi mai possibile nella società in cui viviamo; in termini più realistici è possibile coltivare da sé piante che producono frutti commestibili oppure recarsi da venditori diretti. D’altra parte in città è più facile reperire frutta e ortaggi presso fruttivendoli o al supermercato. In tal caso verrebbe meno il precetto contro lo sfruttamento della vita vegetale, cionondimeno si tratterebbe del regime alimentare più eco-sostenibile nel caso in cui venisse
praticato su larga scala.
Un fruttariano si discosta da un vegano poiché non si nutre, per l’appunto, di tutti i vegetali:
Vengono esclusi cereali, legumi, radici e verdura a foglia. Inoltre è più probabile che la spinta motivazionale di un vegano sia prevalentemente dettata da ragioni etiche basate sull’assoluto rispetto della vita animale, mentre si giunge al fruttarismo anzitutto per ragioni scientifiche: “Ho scelto di diventare vegana per motivi etici, ma sono diventata fruttariana per motivi di salute” (Silvia).
Le idee di fondo di questa subcultura non hanno radice nella pura invenzione, in una riscrittura dei criteri della scienza e dell’idea dell’evoluzione dell’essere umano: abbiamo a che fare con una concezione della storia biologica dell’uomo che non si limita più a una mera imitazione del modello, ma prevede uno studio approfondito e coscienzioso che parte da una prospettiva nuova, fuori dagli schemi usati dalla società dominante.
La scelta di entrare in un percorso fruttariano, infatti, parte soprattutto dalla convinzione che l’uomo sia nato frugivoro e che solo in epoca “recente” la società lo abbia portato a essere onnivoro. È comunque doveroso precisare che esiste una motivazione etica anche dietro la scelta fruttariana, ossia il rifiutarsi di recare danno alle specie vegetali, che sono esseri viventi tanto quanto gli appartenenti al regno animale.
Partendo dunque dal presupposto che l’alimentazione naturale dell’essere umano sia basata sul consumo esclusivo di frutti (preferibilmente a crudo), fin dallo svezzamento l’uomo deve seguire un’alimentazione fruttariana. “Se diciamo che l’uomo è predisposto a essere frugivoro perché i frutti sono l’unico alimento di cui il nostro corpo ha veramente bisogno, sarebbe un paradosso sostenere che un bambino, dopo l’allattamento, abbia bisogno di animali o di legumi per crescere sano” (Luca).
Il nostro gruppo di ricerca ha cercato di far luce sul tema del fruttarismo in Italia per cercare di capire se questa nuova filosofia di vita, che si sta imponendo nella nostra società, possa esser classificata a tutti gli effetti come una subcultura. Per arrivare ad una conclusione su questo argomento, abbiamo dovuto condurre un tipo di analisi basato su interviste semi-strutturate, osservazione partecipante e una minuziosa ricerca di fonti bibliografiche. E’ importante dire che per rendere la nostra ricerca il più possibile neutrale e veritiera, abbiamo innanzitutto cercato di mettere da parte il nostro stile di vita e le nostre conoscenze scientifiche pregresse, per poterci immergere nella logica di coloro che seguono questa filosofia. Successivamente, abbiamo vissuto insieme ad alcuni di loro un momento importante della giornata, la cena sequenziale fruttariana, recandoci nell’unico ristorante italiano che offre un menu fruttariano.
Poiché le questioni da esplorare sono potenzialmente tendenti all’infinito, abbiamo pensato di focalizzarci solo su alcuni macro-temi, lasciando a eventuali altri studi il compito di approfondire, laddove sociologicamente necessario, aspetti del fruttarismo che noi accenneremo. Nei capitoli che seguono illustreremo le nostre scoperte: come coesistono in Italia tre diverse modalità di appartenenza al fruttarismo e perché questa pratica alimentare comporti la socializzazione dei soggetti a una vera e propria subcultura.
IL FRUTTARISMO, caso italiano
Attraverso la nostra ricerca abbiamo riscontrato che, in Italia, sono presenti diverse modalità di essere fruttariani.
La prima modalità comprende coloro che seguono questo stile di vita in modo solitario; le altre due possono essere, invece, classificate come due correnti di pensiero differenti che divergono sul significato di essere fruttariano. Abbiamo scelto di focalizzarci su queste ultime due poiché questa è la prospettiva che ci è sembrata più rilevante ai fini di un inquadramento generale dell’oggetto di studio, pur sottolineando il fatto che si tratta, nell’attuale forma, di una mobilitazione ibrida, composta da numerosi individui – con distinte concezioni, differenti modalità di esperirla, di interfacciarsi con gli altri – e priva di una organizzazione centrale (formale) cui fare riferimento o nella quale identificarsi.
Ndr: “La corrente di cui ci occuperemo in questo articolo si avvicina alla filosofia del “FruttaLismo”, che rappresenta non solo una scelta alimentare, ma anche un punto di partenza per un cambiamento ecologico, sociale ed economico.”
Se le subculture sono quasi sempre espressione della vita urbana contemporanea, col fruttarismo ci troviamo innanzi un’immagine differente: le reti tecnologiche e della comunicazione digitale hanno permesso una metamorfosi che ha generato una realtà subculturale dispersa sia in città sia nelle zone più periferiche e rurali. Per questo motivo le differenti correnti non sono localizzate in territori specifici ma trovano esponenti dispersi per tutto la penisola italiana che, potendo comunicare tra loro attraverso i nuovi strumenti di comunicazione, sono riusciti a creare gruppi accomunati da specifici stili di vita ma non dalla stessa realtà territoriale. Abbiamo rivolto la nostra attenzione al fruttaLismo e al fruttarismo politico-economico, tralasciando quindi i singoli individui che praticano questo stile di vita, poiché, a nostro parere, hanno le caratteristiche per essere ritenute un gruppo sociale.
Le due correnti condividono alcuni aspetti di questo stile di vita ma allo stesso tempo si
discostano per altrettanti motivi.
Grazie alle interviste condotte, siamo state in grado di trovare alcune somiglianze. La prima caratteristica che accomuna le due correnti è l’idea di dover affrontare un percorso per poter raggiungere la meta del fruttarismo poiché non si può pensare di poter stravolgere la propria alimentazione dall’oggi al domani. Gli intervistati motivano questa convinzione facendo notare che si può incorrere in gravi conseguenze per la salute dell’essere umano, ad esempio un’eccessiva perdita di peso che, in alcuni casi, potrebbe portare alla morte. Altra somiglianza riguarda la convinzione di dover passare attraverso il cibo cotto prima di potersi nutrire esclusivamente di frutti crudi a causa del fatto di dover affrontare un percorso di cambiamento alimentare non indifferente.
……..
Un altro punto su cui convergono entrambe le correnti riguarda lo svezzamento dei bambini con una alimentazione fruttariana: per gli intervistati non sarebbe coerente affermare che un bambino non possa essere svezzato tramite frutta poiché il loro stile di vita ruota attorno all’idea che l’alimentazione più corretta per l’essere umano sia quella di tipo fruttariano. A dimostrazione di ciò entrambi i rappresentanti delle correnti hanno citato Anne Osborne, mamma australiana che è riuscita a crescere i suoi figli facendogli seguire un’alimentazione fruttariana. Come risposta alla nostra obiezione riguardo al fatto che non esistono altri bambini fruttariani dalla nascita, sostengono che la maggior parte delle famiglie non sono in grado di educare i propri figli a questo tipo di alimentazione poiché a causa del modo in cui è strutturata la nostra società, sono costretti, sia all’interno dell’ambiente scolastico sia al di fuori di esso, a stare a contatto con bambini che seguono una dieta mediterranea. Ulteriore punto di contatto tra le due correnti è l’idea che i vaccini siano inutili e dannosi. Questo perché i soggetti da noi intervistati sono convinti che la causa delle malattie umane sia un’alimentazione errata (non adatta all’essere umano); di conseguenza, se tutti seguissero un’alimentazione fruttariana, l’uomo non sarebbe soggetto a determinate malattie e non avrebbe bisogno dei vaccini. Infine, un ultimo punto su cui sono in sintonia, è l’importanza dello sport nella vita dell’uomo. Secondo la corrente politico-economica, però, l’uomo dovrebbe praticare solamente attività che hanno sempre fatto parte della sua vita quali la corsa e l’arrampicarsi sugli alberi, che nella società odierna si traduce nel praticare
trazioni. La corrente fruttaLiana, sostiene invece che è possibile praticare qualsivoglia sport senza superare i limiti della natura (cfr. over training)
Come abbiamo potuto notare poc’anzi, nonostante la comune idea dell’importanza dello sport nella vita dell’uomo, le due correnti divergono sulle modalità con cui è possibile praticare attività fisica. Questo, però, non è l’unico aspetto su cui il fruttaLismo e il fruttarismo politico-economico, si differenziano.
Altre dissonanze sono, in primo luogo il motivo per cui seguono questo stile di vita: Una corrente afferma che un’alimentazione inadeguata “appanni la mente umana” e, di conseguenza segue questo tipo di dieta per motivi politici e scientifici poiché
crede che l’alimentazione sia il primo passo per interpretare in modo lucido gli eventi del mondo;
Luca (fruttaLismo) vede invece la dieta fruttariana come un percorso di elevazione fisica e spirituale, affermando infatti che, secondo la sua corrente di pensiero, “bisogna muoversi in cooperazione con la natura e non in competizione”.
Molti fruttariani si rispecchiano in un’idea facilmente riassumibile con questo pensiero di Arnold Ehret “L’uomo è l’animale più ammalato sulla terra; nessun altro animale ha violato così tanto le leggi dell’alimentazione quanto l’uomo; nessun altro animale mangia scorrettamente quanto l’uomo” e ancora “ben lontano dai bisogni legati alla sussistenza, il cibo è soprattutto un’esigenza culturale, sociale, economica e commerciale, talmente importante da condizionare tutta l’organizzazione delle nostre giornate”.
In sintesi, la nostra cultura ci socializza a una condotta di vita per la quale il vivere bene e in salute è necessario nutrirsi in modo equilibrato, ma in realtà la funzione dell’alimentazione è, ormai, perversa: essa non è più uno strumento al servizio della sopravvivenza perché mangiare è diventato un modo per incontrarsi e far festa, un modo per allentare le tensioni, un antidepressivo, il momento in cui riflettere, un mezzo per dare l’affetto. Il fruttarismo reputa inaccettabili le pratiche di sfruttamento dell’altro tout court, che si tratti di animali o piante. Dirsi fruttariano non è adoperare una semplice etichetta per auto-identificarsi; essere fruttariano è uno stile di vita avente un orientamento filosofico, ben lontano dal costituirsi come mero regime alimentare, che coinvolge tutte le sfere della vita quotidiana, al fine di minimizzare il proprio impatto sull’ambiente e di rispettare ogni forma di vita.
Il fruttarismo, dunque, rappresenta un insieme di idee precise, che gli intervistati non confondono ma anzi sottolineano: essere fruttariani allora rappresenta una moltitudine di pratiche simboliche e corporee che si estendono oltre il benessere psicofisico e che si distinguono nettamente dalla norma. Seguire un percorso fruttariano e mantenere fede alle proprie scelte, per gli intervistati si configura come un vero e proprio strumento di riflessione ed espressione di sé attraverso la concretizzazione dei propri valori nel quotidiano.
FruttaLismo, un percorso naturale di Ri-Evoluzione
La prima corrente di fruttarismo che abbiamo riscontrato in Italia, vede questo tipo di
alimentazione, più che come una definizione, come un cammino, una ricerca, infatti per
distanziarsi da altre visioni del fruttarismo, il suo portavoce Luca, ha deciso di attribuirle il nome di fruttaLismo poiché include anche vegetali a foglie e radici come le carote, o le patateo fiori come i carciofi escludendo però i semi. Ma questo per spiegare che il fruttaLismo è una transizione, un percorso fatto di sperimentazioni, Luca afferma: “L’ottica è quella di conoscere se stessi inteso come conoscere il proprio corpo e gli effetti che hanno su di esso i vari cibi.”
Il fruttaLismo sarebbe quindi uno stile di vita e in quanto tale prevede un processo di transizione, che passa attraverso fasi necessarie che portano al fine specifico di nutrirsi esclusivamente di frutti crudi. Per fare ciò, è necessario basare la dieta su un percorso che prevede alimentazioni sempre più leggere per arrivare ad un’elevazione spirituale. Di conseguenza anche il cuocere i cibi, viene visto come transizione, poiché nonostante il cibo cotto non sia la scena ideale, non essendo leggero, è necessario abituare il proprio corpo pian piano a fare a meno della cultura del cotto che si è insediata nell’ambito dell’alimentazione umana. La routine alimentare di Luca è infatti iniziare la giornata con frutta o frullati e, durante il giorno, nutrirsi di frutta e verdure sia crude che cotte, cercando di ridurre sempre più l’azione di cuocere i cibi in modo tale da raggiungere il fine del fruttaLismo.
Luca afferma, inoltre, che questa alimentazione “va integrata con una buona dose di tempo passato all’aperto, nella natura”, poiché i fruttaLiani vogliono riflettere uno stile di vita igienista completa e non solo alimentazione.
Tale stile di vita, include anche l’uso di prodotti naturali, necessari a favorire l’assorbimento di frutta tramite la pulizia della pelle. Questo tipo di pratica viene chiamata “frusmesi”. Infatti, il motto di questa corrente è: “muoversi in cooperazione con la natura e non, come il più delle volte fa la specie umana, in competizione” (Luca S.); motivo per cui i fruttaliani hanno creato il progetto Ubuntu, ovvero la creazione di frutteti integrati e food forest o come si usa chiamarli in Italia; boschi commestibili con orti fra gli alberi, per avere il cibo creato da loro stessi sempre a disposizione.
Luca S. conclude la sua intervista affermando: “ il vero fruttarismo tende all’autodeterminazione nella natura, si potrebbe chiamare un’anarchia responsabile, in cui si è pienamente coscienti della responsabilità delle azioni che si svolgono”.
Il fruttalismo ha quindi un potenziale rivoluzionario, poiché fornisce una visione differente del mondo mediante l’impiego di pratiche in controtendenza a quelle dei consumatori comuni.
Il cambio di alimentazione influenza le pratiche alimentari, l’identità, le dimensioni psico-sociali, le norme e le interazioni sociali. Essere fruttaliani, infatti, agisce sensibilmente anche nella relazione con se stessi: ci si relaziona con il proprio io, con gli altri esseri umani e con la natura in un modo ispirato a principi e valori inediti che coinvolgono e rispettano, per quanto umanamente possibile, tutti gli organismi viventi. Si tratta di una rivoluzione che trasforma l’identità degli attori sociali scomponendo e ricostruendo paradigmi e convinzioni con cui essi sono stati cresciuti.
CONCLUSIONI
Lo scopo della presente ricerca è quello di offrire un quadro di lettura entro cui comprendere la scelta di intraprendere un percorso alimentare ed esistenziale alternativo a quello della cultura dominante. Ad animarci è stata una volontà di carattere esplorativo: da una parte vogliamo aprire la strada ad analisi più approfondite su questo tema e, dall’altra, descrivere un fenomeno che è ormai parte del contesto sociale e culturale in cui noi sociologi ci muoviamo.
Le domande principali sulle quali abbiamo voluto riflettere riguardano le pratiche degli individui aderenti al fruttarismo in termini di cambiamento di regime alimentare, di ricostruzione della propria identità, di trasformazione delle abitudini. Inoltre abbiamo ritenuto importante analizzare questa tendenza dal punto di vista sociologico per vedere se sia appropriato definirla “subcultura”
e in tal caso stabilire quali siano le dimensioni che la strutturano e i significati connessi a valori di cui questo gruppo si fa portatore.
Abbiamo scelto di suddividere il nostro elaborato in modo tale da offrire al lettore un quadro prima generale e poi più particolareggiato del fenomeno subculturale.
Usiamo l’aggettivo “subculturale” proprio perché da parte nostra riteniamo adeguata
l’applicabilità del concetto di subcultura al fruttarismo, poiché non riteniamo deontologicamente corretto definirlo come una mera “tendenza alimentare”.
In primo luogo, partendo dal concetto di subcultura così come espresso dagli autori
Santambrogio, che la definisce “un sistema di valori parzialmente alternativo a quello comune, in grado di soddisfare quei bisogni- innanzitutto, di riconoscimento reciproco- che la cultura sociale generale non è in grado di affrontare”, e Cohen, per il quale le forme subculturali emergono dall’interazione tra attori sociali che hanno problemi simili di adattamento sociale, come forma innovativa a questi problemi non ancora divenuta istituzionale, possiamo vedere come il fruttarismo sia una sorta di strategia collettiva di soluzione dei problemi espressi dai singoli individui che non si appoggia ai valori del sistema “dominante”.
In secondo luogo la subcultura sente il bisogno di motivare il proprio impegno e accrescere il proprio riconoscimento sociale, e di fatto questo è ciò che fanno i fruttariani. Questione da non tralasciare, e che abbiamo riscontrato nei contesti sociali da noi analizzati, è una complessità subculturale che si stacca dalla collocazione di classe allargandosi a ogni ceto.
In terzo luogo Thornton nel 1997 afferma: “Una subcultura è vicina all’idea di comunità, ma si distingue da essa per il fatto che questa fa riferimento a una rete di relazioni sociali stabile, che comprende rapporti di vicinato, di cui la famiglia è la parte costituente, mentre la subcultura è un gruppo meno stabile nel tempo, in gran parte separato dalle relazioni familiari”. Noi abbiamo avuto modo di riscontrare proprio questa tipologia di relazioni nel movimento fruttariano.
Fin qui abbiamo cercato di rispondere alla domanda “che cos’è il fruttarismo?” Come esplicato poc’anzi, non si tratta solo di una dieta, né di una mera associazione di individui singoli che si riuniscono per mangiare in un certo modo. Il fenomeno del fruttarismo è una subcultura, e come tale ha risvolti sulla vita dei soggetti che adottano questa pratica: diventa determinante nel processo di rielaborazione di sé, di trasformazione della propria personalità; genera un’identità sociale comune; è in grado di creare nuovi valori. Molti degli intervistati scelgono criticamente una dieta fruttariana nella consapevolezza di appartenere a un movimento contro-culturale.
La subcultura costruisce la sua specifica identità attraverso la predilezione per un certo tipo di pratiche e di presentazione di sé che combinati assumono i connotati di uno stile distintivo. Tale stile è un modo di comunicare agli altri la propria identità e, allo stesso tempo, un metodo per mettere ordine nelle proprie idee sul proprio ruolo nella società.
Pur essendo settori ben delimitati, le subculture sono per forza di cose inglobate nella cultura dominante, rispetto alla quale non sono mai autonoma, pur differenziandosi in termini sociali e simbolici. Riferendoci ad Ambrogio Santambrogio, condividiamo il fatto che per differenza si intende un comportamento non conforme, che mette in discussione i valori socialmente condivisi in modo non gestibile dal sistema sociale. Poiché rimane ingestibile, la differenza costruisce un comportamento non accettato e non condiviso dalla maggioranza in quanto mette in discussione valori socialmente condivisi. La differenza non produce indifferenza. Come diceva Simmel, lo straniero è uno strano miscuglio di vicinanza e di lontananza: egli vive accanto a noi anche se appartiene a una cultura (in tal caso, subcultura) che ci è estranea.
Sempre a parere di Santambrogio, è impensabile che un sistema sia tanto elastico da essere in grado di contenere tutti i possibili comportamenti e tutte le possibili identità. Se anche esistesse,
questa società non sarebbe la più aperta, ma probabilmente la più chiusa: la sua stessa pretesa di contenere tutto la renderebbe cieca rispetto a ciò che inevitabilmente non è in grado di accogliere al suo interno. Dunque la strada corretta sarebbe quella del rispetto della differenza come tale, anche per la sua capacità di metterci in discussione, e di conseguenza della tolleranza.
Questa via si presenta tutt’altro che facile dato che l’uomo per natura non percepisce il
riconoscimento come qualcosa di dovuto: nessuna differenza è accettabile in quanto tale, a prescindere dalle abitudini, dai comportamenti e dalle idee che essa veicola.
Si può osare usando il concetto di etnocentrismo di Lévi-Strauss in riferimento anche a una subcultura. Parleremo allora di subcultural-centrismo, poiché è elemento costitutivo della natura umana il porre il proprio modo di vivere e di pensare al di sopra di tutti gli altri provando poco o nessun interesse per individui il cui stile di vita (anche se di per sé rispettabile) si allontana troppo da quello a cui si è stati socializzati.
Il movimento fruttarista può essere definito come esempio “del tentativo di farsi carico dell’idea di un mondo radicalmente diverso; dell’idea di costruire dentro la società un mondo alternativo a quello dominante, una differenza radicale rispetto alla normalità” [Ambrogio Santambrogio, 2006, p.146]. Esso si fa carico, come altri fenomeni simili, dei valori post-materialisti basati sulla difesa della natura, della qualità della vita, della partecipazione politica e della libertà di espressione.
Quando si pensa a un movimento sociale, si tende a immaginare una entità singola che agisce in modo coordinato e unitario. Nonostante questo luogo comune, molti nuovi movimenti sociali sono composti da numerosi parti che non sempre lavorano come un unico organismo efficiente. Fra questi vi è sicuramente il fruttarismo. Esso si articola al suo interno in due principali “organizzazioni” (escludiamo coloro che lo praticano in modo isolato, ad esempio per seguire una filosofia induista) che hanno somiglianze, differenze e rapporti antagonisti: non si deve incappare nel rischio di identificare il fruttarismo come una subcultura omogenea, poiché riteniamo sussistano al suo interno domini distinti. Bisogna avvalersi di una concezione più ampia e articolata del luogo comune per non appiattire questa realtà: si tratta di una subcultura qualitativamente non uniforme, diversificata in gruppi sociali tra i quali l’individuo è libero di scegliere dove inserirsi. L’utilità della distinzione fra la corrente di fruttaliani e quella dei fruttariani
si rivela nelle diverse sfumature dei loro stili di pensiero trasversali rispetto alla società, nei modi differenti di approcciarsi agli “altri” con specifici usi del linguaggio, nonché in alcune norme che ne vincolano l’appartenenza.
Abbiamo riscontrato alcune dimensioni di base che caratterizzano l’adesione degli individui alla subcultura fruttariana. Queste possono essere sintetizzate in tre categorie: una dimensione morale fondata sui valori comuni e sul senso di appartenenza; una dimensione ecologica e salutistica; una dimensione spirituale, che fa riferimento alle ragioni etiche ed emotive.
Infine si rileva per una parte del movimento una dimensione politica che mette a tema i limiti, la debolezza economica e le questioni politiche dell’economia capitalista.
Spesso gli individui socializzati alla cultura dominante accusano il fruttarismo di essere uno stile di vita connotato dalla privazione alimentare. Le reazioni scatenate dall’incontro con questa subcultura sono imprevedibili: possono variare dall’ostilità alla derisione fino all’accoglimento o persino apprezzamento. Ne è un esempio l’interesse suscitato dal fatto che, a dispetto della comune credenza sulla necessità di assumere proteine animali, studi recenti abbiano portato alla luce una stretta relazione fra dieta onnivora e l’incidenza di alcune malattie gravi (ictus, diabete), di tumori (al colon, alla prostata, al seno, all’utero, all’intestino) e di patologie minori come ipercolesterolemia, obesità, cardiopatie.
Secondo Armando D’Elia una prova molto convincente della capacità della dieta fruttariana di consentire una produzione superiore di energia è quello riportato da Diamond “Un leone, il quale si nutre solo di carne, dorme venti ore al giorno mentre un orango che si nutre solo di sostanze vegetali, dorme solo sei ore al giorno”. Silvia porta la propria esperienza personale secondo cui è riuscita a tenere a bada le sue patologie evitando un peggioramento e mantenendo una situazione stabile. Infatti afferma: “da quando sono diventata fruttariana mi sento meglio, non ho mai più avuto nemmeno un semplice raffreddore. Anche a livello psicologico ho constatato notevoli miglioramenti e progressi; infatti non ho mai più avuto bisogno della psicologo dopo circa vent’anni di terapie antidepressive caratterizzate da continue ricadute”.
Prima di concludere questa trattazione, vogliamo soffermarci sul tema delle relazioni con gli altri (gli onnivori). Il cibo condiziona fortemente le relazioni tra attori sociali: l’adozione di una prospettiva fruttariana per molti soggetti ha scombussolato l’ordine precostituito della vita quotidiana in termini di consuetudini familiare, amicali, lavorative e amorose. Spesso i soggetti fruttariani tendono a socializzare con chi condivide la loro stessa base valoriale e a frequentare un gruppo di persone che non li faccia sentire a disagio e che metta in discussione o minacci il loro stile di vita. In questo senso, l’adesione al modello alimentare frugivoro ha comportato numerose conseguenze nelle interazioni con gli altri, poiché spesso amici e parenti si sono mostrati antagonisti della scelta dei nostri intervistati. Silvia ci racconta del cambiamento avvenuto nelle relazioni con amici e parenti con i quali, a fronte di un atteggiamento rigido e contrario alla sua dieta e, dopo alcune discussioni di tipo etico e ambientale, si rapporta con minore frequenza e preferibilmente non durante i pasti poiché non è disposta a condividerli con chi mangia animali.
Inoltre, essendo migliorata anche la sua condizione psicologia ed essendo ora in grado di
affrontare la solitudine (contrariamente a prima), afferma di sentire meno il bisogno di tali persone, prediligendo, invece, “incontri di qualità” con persone che rispettano e condividono il suo stile di vita.
L’esperienza di Silvia dimostra come per il senso comune nutrirsi di carne e vegetali sia
un’abitudine normale, cosicché chi non segue tale comportamento viene additato come deviante:
si tende a disapprovare piuttosto che comprendere e rispettare (non necessariamente
condividere) scelte diverse dalle proprie.
La tensione che si crea a tavola quando ci si trova di fronte a qualcuno che mangia in modo differente è poi la stessa che nasce durante scambi comunicativi dove i sostenitori
dell’alimentazione tradizionale svalutano la capacità di raziocinio del soggetto che ha optato per questo stile di vita alternativo.
Dunque gli onnivori provano astio per questo stile di vita e allo stesso tempo chi è fruttariano ha giudizi negativi su chi ha punti di vista differenti dai loro.
Ma se alcuni fruttariani sembrano giudicare sulla base delle preferenze alimentari, altri, pur nella consapevolezza che la diversità di valori può costituire un problema, mantengono relazioni con gli onnivori per instaurare relazioni amicali (e non solo per provarne a influenzare le opinioni).
In conclusione, i fruttariani si confrontano con le “tradizionali gerarchie alimentari” ponendo in atto scelte di consumo che sono più responsabili e che tengono conto della preoccupazione per le altre forme di vita. La dimensione fruttariana è una resistenza alla socializzazione alimentare che ci vuole onnivori. Da sottolineare è l’importanza attribuita dagli intervistati al tema della partecipazione attiva individuale: essi organizzano eventi, si mettono in gioco con interviste e pubblicazioni, aprono gruppi online in cui scambiarsi idee quotidianamente. Alcuni intervistati ci hanno fatto notare come la rottura di abitudini assodate comporti spesso fatica: essere coerenti
con la scelta effettuata e perseguire questo stile di vita implica una ristrutturazione della routine.
Prendendo a prestito la citazione di Adams, diremo che iniziare un percorso fruttariano comporta l’iniziare un “living with attention”. Questa pratica viene resa più semplice dalla possibilità di condividere una comune identità con gli altri fruttariani coi quali vengono stabiliti rapporti di affetto e comunanza. All’inizio della transizione da vegani a fruttariani il controllo reciproco da parte degli aderenti al gruppo rispetto alla coerenza dei partecipanti è un aspetto che abbiamo rilevato essere assai di aiuto per non vacillare. L’individuo, in questa cornice, non si trova a dover operare singolarmente, bensì diventa membro attivo di un movimento in cui viene incoraggiato a portare le proprie competenze, il proprio contributo, il proprio esempio.
Il fruttarismo ha un nobile fine in sé: il suo insieme di pratiche riflettono idee che si mirano a promuovere la trasformazione culturale e sociale partendo dal cambiamento individuale degli attori sociali. La filosofia fruttariana costringe alla riflessione sul dato per scontato del consumo di altri esseri viventi, piante o animali; essa propone nuovi significati attorno al cibo avvicinando l’uomo all’etica della compassione e dell’empatia.
Si tratta, dunque, di un fenomeno poliedrico (poiché coinvolge tanti aspetti individuali e sociali, economici, biologici, psicologici e filosofici) che è in continua evoluzione, pertanto non è possibile rilegarlo a mero trend nella ricerca sociale accademica.
BIBLIOGRAFIA
Alan Beardsworth – Comprendere il vegetarianismo 2004
Armando D’Elia – Miti e realtà dell’alimentazione umana 1995
Francesca Mininni – La rivoluzione parte dal piatto? 2017
Ambrogio Santambrogio – Il senso comune. Appartenenze e rappresentazioni sociali 2006
Loredana Sciolla – Sociologia dei processi culturali 2002
https://it.wikipedia.org/wiki/Fruttarismo
https://www.facebook.com/groups/amicifruttariani/